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Concerto 2 novembre

ALEXANDER ROMANOVSKY, pianoforte

Fryderyk Chopin – Waltz in la bemolle maggiore op. 34 n.1, in la minore op. 34 n.2; Scherzo n. 2 in si bemolle minore op. 31; Polonaise in la bemolle op. 53;

Sergej Rachmaninov – 3 Preludi op. 23 (2,3,5);

Felix Mendelsshohn/ Sergej Rachmaninov – Scherzo da Sogno di una notte di mezza estate;

Sergej Rachmaninov – Lilacs op. 21 n. 5; Vocalise op. 34. n. 14 Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 36.

 

Note di sala

di *Gianluca D’ Agostino

 

Fryderyk ChopinValzer op. 34 n° 1 in la bemolle maggiore; n° 2 in la minore; Scherzo op. 31 n. 2 in si bemolle minore; Polonaise op. 53 in la bemolle.

Partito nel 1830 da Varsavia alla conquista del mondo, Chopin dopo Vienna giunse a Parigi, capitale del concertismo internazionale e meta ambita (con Londra) per ogni musicista. Qui fiutò l’aria dei tempi nuovi, aria non tanto impregnata di Bach o Beethoven (classici insuperabili che Chopin comunque continuò a studiare tutta la vita), quanto piuttosto di Rossini, Bellini, Meyerbeer e degli esponenti dello stile cosiddetto “Biedermeier”, i vari Moscheles, Hummel, Kalkbrenner, la cui tecnica era ammirata dalle platee europee dei borghesi e dei nuovi ricchi (i banchieri ebrei Rothschild, per esempio), a misura che la loro musica veniva immessa sul mercato e divulgata in pubblico. Invero, però, la modesta espressività di queste opere non poteva blandire il genio del musicista polacco; e d’altronde il suo intenso, ma sempre trattenuto nazionalismo non restava immune al clima di sommovimenti socio-politici, sotto i cui colpi la restaurazione vacillava. E poi c’era, naturalmente, il problema specifico della Polonia, occupata e spartita tra le grandi potenze. In quel momento, tuttavia, ciò che stava più a cuore al giovane Chopin era il tema del rinnovamento del linguaggio musicale e della stessa tecnica pianistica, e in ciò, o almeno anche in ciò, egli decise di fare la sua propria rivoluzione. Sulla scia di quanto asserito da Schubert circa il “maledetto martellamento dei pianisti”, anche Chopin si avviava a sviluppare una concezione rivolta non alla ricerca della potenza o della brillantezza sonora, ma della varietà timbrica; e questo viaggio, in effetti verso l’ignoto, aveva come oggetto nientemeno che una nuova invenzione del suono.

In senso tecnico, Chopin superò l’attacco classico del tasto – polso leggermente basso, dito ricurvo, estensione incentrata sul metacarpo, percussione in direzione verticale – e ne sviluppò un altro tipo, con polso alto, dito più allungato, flessione incentrata sulla prima falange, percussione in senso circolare al tasto. Inoltre elaborò il famoso tocco “cantabile”, con trasferimento del peso del braccio da un tasto all’altro, e  così ottenne che le sue stupende melodie apparissero “fiorite e sciolte”, più o meno al modo di quelle cantate dai celebri divi del teatro. In questo senso è lecito confrontare le melodie belliniane con quelle chopiniane. Parallelamente, con l’uso dei pedali egli otteneva effetti di sfumature stupefacenti per il tempo e anche molto stimolanti dal punto di vista ingegneristico, ossia per gli stessi costruttori dello strumento, come i vari Erard, Pleyel, ecc.

Nella capitale francese Chopin sedusse il pubblico, sia con brani di ampie proporzioni e complessità, come le Sonate, sia con pezzi didattici come gli Studi, sia con tanti altri pezzi vivaci e dagli intenti decorativi, come i Valzer; a ciò affiancando composizioni che ambivano ad essere più rivoluzionarie in senso anche formale, tra cui appunto i quattro Scherzi. Con i Valzer, invece, egli intendeva aderire alla moda dei ballabili da salotto, senza tuttavia rinunciare a raggiungere una tensione espressiva più elevata. Quelli dell’op. 34, conosciuti come “Valzer brillanti”, furono composti in un arco di tempo ampio, tra il 1831 e il 1838, in luoghi diversi e con differenti dediche. Qui, beninteso, la ballabilità è soltanto un pretesto, e infatti per Schumann, che peraltro non sempre fu tenero con il collega polacco, ma che sempre ne riconobbe il genio, si trattava di brani “più per le anime che per i corpi”.

Mentre il primo, in la bemolle maggiore, ha forma di rondò, il secondo, in la minore, è un brano espressivo, e potrebbe essere definito una dumka in ritmo di valzer (dumka in polacco significa pensiero, meditazione). Caratteristica del primo, dopo un preambolo molto convenzionale, è l’arguta distribuzione melodica, il che poi è una cifra distintiva dei migliori compositori romantici: all’inciso ritmico, quella sorta di mordente capriccioso con cui la mano destra attacca la brillante sequenza di scale, corrisponde l’accompagnamento del basso, ma qui appunto avviene anche la dislocazione della melodia, la quale, se si ascolta bene, parrebbe essere (e forse era) una canzoncina infantile o popolare. Qui c’è già molto di Chopin, e forse poco altro ci sarebbe da aggiungere, se non che con l’altro e più bel Valzer, quello in la minore, si viene proiettati in tutt’altro mondo espressivo: fin dall’incipit, con quella bella inversione delle parti (melodia al grave, accompagnamento all’acuto), e poi dall’attacco di quella melodia così dolente, cromatica e angolosa, accompagnata in controtempo. E’ un universo certamente molto “polacco”, dolente, malinconico, in cui non solo le continue modulazioni (degne di uno Schubert) ma persino i mordenti e le acciaccature, sembrano “molcere il cuore”.

Lo Scherzo op. 31 n. 2 in si bemolle minore è un brano eroico che probabilmente veniva percepito anche in un senso patriottico; qualcosa di decisamente teatrale, nel senso che i temi agiscono musicalmente come fossero personaggi da palcoscenico: così fin dall’inizio, con le terzine gravi ascendenti che sembrano porre una domanda, e gli accordi forti e squillanti, puntati, che rispondono in modo perentorio. Poi la sequenza seguente, con la sua ripetizione un po’ scolastica (il pezzo non a caso è tra quelli più assegnati dai didatti ai propri allievi), si rivela essere un paradigma dello stile romantico: melodia puntata nel registro sopracuto su rapido accompagnamento di arpeggi pedalizzati, in un tempo molto rapido e soprattutto incalzante. Qui però stupefacente è il contrasto con la sezione ancora successiva, iniziata con una modernissima transizione accordale al modo maggiore, e proseguita da quella sorta di “valzerino triste” con l’inciso ritmico ostinato al registro medio, e poi con il lungo passaggio brillante, eseguito mentre il basso “passeggia” quasi in modo settecentesco, nelle regioni gravi della tastiera. Tutto meravigliosamente collegato e interconnesso.

Polacche e Mazurche appartengono alla sfera dello “spirito musicale popolare”, e probabilmente Chopin annetté ad alcune di esse, tra le tante che compose, una valenza anche più scopertamente nazionalistica. La Polonaise “eroica” in la bem. maggiore op. 53 è, oltre che uno dei brani più famosi dell’intera letteratura pianistica, quello che forse meglio esprime il suo coté potente, epico, eroicamente polacco. Risale all’agosto del ‘42 ed è gustoso l’aneddoto sulla sua creazione, secondo cui l’autore fu preso da un lavoro così intenso e febbrile da costringere George Sand, la sua famosa musa ispiratrice e soprattutto protettrice, a spostarsi per dormire su un divano in un’altra stanza, per non disturbare il genio, ma anche per non essere lei stessa ossessionata da quel mare di suoni. Pare che a Chopin riuscisse alquanto difficile fissare sulla carta pentagrammata, nella misura esattamente inversa alla facilità con cui improvvisava liberamente allo strumento.

Ne ricordiamo l’inconfondibile carattere dell’introduzione, con le energiche crome ascendenti ad ambo le mani, e soprattutto il famoso tema in mi maggiore, icastico alla mano destra e marziale alla sinistra, presto ripetuto all’ottava con brevi trilli e poi con una serie di progressioni di accordi: tutto qui è all’insegna del trionfale, senza che mai l’esecuzione debba scadere nel pomposo, nel precipitoso o, men che mai, nel fracasso.

 

Sergej V. RachmaninovTre Preludi dai Dieci Preludi op. 23: n°2, n°3, n°5

La carriera di Rachmaninov (1873-1943) si suole dividere in due grandi periodi: dal 1892 al 1917 è il periodo russo, in cui egli fu principalmente compositore e nel contempo direttore d’orchestra e pianista; poi, dopo la Rivoluzione del 1917, che lo indusse alla fuga e all’espatrio, lui essendo per formazione e convinzioni profondamente antibolscevico, ci fu il periodo americano, in cui Rachmaninov scelse di costruirsi una nuova carriera di pianista-interprete, divenendo uno dei massimi rappresentanti in questo genere e forse il più grande di tutti, continuando in modo saltuario l’attività compositiva e direttoriale. Egli nasce quindi compositore e poi diventa anche grande pianista; e quando diciamo pianista-compositore, dobbiamo necessariamente aggiungere anche “russo”, poiché al periodo di formazione, svolta prima nel Conservatorio di San Pietroburgo e poi in quello di Mosca, vanno probabilmente ascritte le sue esperienze musicali più significative.

I Dieci Preludi op.23 furono composti intorno al 1901-1903 e si immettono, almeno idealmente, nella falsariga dei preludi del Clavicembalo ben temperato e di quelli chopiniani. Sono tutti in forma ternaria e la loro caratteristica, al di là degli aspetti di mera tecnica pianistica, peraltro salienti, e del diverso tasso di difficoltà, è di essere intrisi, se non proprio di reminiscenze tematiche, quantomeno di “spirito russo”. Anch’essi, del resto, rivelano quanto il loro artefice tenesse e si impegnasse nello scoprire ogni minima potenzialità rimasta ancora inespressa nel pianoforte moderno, così come Liszt e Chopin avevano fatto per il pianoforte romantico.

Preludio n. 2 Maestoso in si bemolle maggiore

E’ un pezzo molto brillante e virtuosistico, giocato sulla contrapposizione tra un’ampia figurazione arpeggiata e una melodia accordale alquanto stentorea.

Preludio n. 3 Tempo di minuetto in re minore 

L’inizio parrebbe un po’ lisztiano, con l’atmosfera tenebrosa conveniente alla tonalità e la rapinosa discesa delle semicrome al basso, poi però la scrittura diventa più decisamente polifonica.

Preludio n. 5 A la marcia in sol minore

Nella prima ed ultima sezione di questo celebre preludio risuonano la cellula ritmica marziale al basso e gli accordi fitti e ribattuti, nonché il loro crescendo dinamico pieno di energia; nella parte centrale invece (Poco meno mosso) si ode una melodia enigmatica e vagamente folklorica.

 

Felix Mendelssohn/Sergej Rachmaninov – Scherzo da “Sogno di una notte di mezza estate”

Nel 1888, un giovanissimo e già baldanzoso Rachmaninov, ancora studente a Mosca, trascriveva per pianoforte lo Scherzo-Allegro vivace dal Sogno di una notte di mezza estate (Ein Sommernachstraum) di Mendelssohn, ossia il secondo brano tratto dalla fantasmagorica musica da scena che il tedesco aveva composto, sull’omonima commedia shakespeariana, nel 1826. Com’è ovvio, il pezzo perde il confronto con l’originale, nella misura in cui necessariamente rinuncia alla tavolozza dei colori e dei timbri orchestrali; perde ancor più, se eseguito in modo frenetico, come faceva ad esempio il bravissimo Charles Rosen, che pure ne era competentissimo esegeta, forse volendo imitare il modo del primo Glenn Gould alle prese con il Clavicembalo ben temperato. Invece ne guadagna, se eseguito alla giusta velocità, quando si noti la bellissima e ingegnosa trama polifonica che lo informa e che qui Rachmaninov inspessisce addirittura rispetto all’originale, ricorrendo ad una scrittura che felicemente sovrappone la polifonia bachiana allo “spirito da folletti leggiadri” mendelssohniano.

 

Sergej Rachmaninov

Lilacs op.21, n. 5

Scritta nel 1902 come parte di una raccolta di Dodici Romanze per voce e pianoforte, è un pezzo lirico, delicato e struggente, dotato di una breve seconda parte appena più mossa.

Vocalise op.34 n. 14

Anche questa fa parte di una raccolta di romanze, e precisamente delle 14 Romanze per voce e pianoforte op.34, scritte nel 1912-15. E’ un brano molto lirico e più lungo del precedente, con una nobilissima melodia dal taglio decisamente moderno e impressionistico. Anche qui c’è una seconda sezione più dinamica, che è piuttosto uno sviluppo tematico della precedente.

Sonata in si bemolle minore op. 36 n. 2

Scritta sempre in quel giro di anni, e precisamente nel 1913, ma poi revisionata nel 1931, la Sonata è considerata opera tipica del Rachmaninov maturo, soprattutto per la ricchezza sonora e la foga virtuosistica. E’ divisa in tre movimenti.

L’ “Allegro agitato” si apre con un folgorante arpeggio discendente, cui fa seguito una melodia che all’inizio a stento si ode tra il martellare sfrenato degli accordi, le ottave ribattute, le volate lungo tutta la tastiera, le improvvise accensioni ritmiche; essa comunque afferma, ad un tratto, il suo proprio carattere, che sta tra l’epico ed il malinconico, e che può riassumersi, in sostanza, nell’alternanza tra un intervallo discendente di terza minore ed uno di terza maggiore: è la cifra ribadita infinite volte nel movimento, attraverso vari sviluppi che paiono concepiti in stile improvvisativo.

Il secondo movimento (“Non Allegro”) ha inizialmente un andamento molto calmo, aprendosi con una melodia assai malinconica che nella fisionomia rassomiglia a quella del Vocalise, e che viene trasportata in vari toni. A ciò segue un episodio decisamente più mosso e dall’andamento rapsodico, e poi una coda brillantissima, che tuttavia si spegne in piano e in tonalità maggiore.

Il finale, Allegro molto, sembra un po’ una forma a specchio del primo movimento, fin dal modo in cui si apre, con quella movenza plateale e la scala di folgorante velocità; ma con la differenza che anche il seguito offre all’interprete occasioni plurime di sfoggiare la propria foga virtuosistica.

 

*Questo testo non può essere riprodotto, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, in modo diretto o indiretto, temporaneamente o permanentemente, in tutto o in parte, senza l’autorizzazione scritta da parte dell’autore o della Associazione Alessandro Scarlatti 

 

 

 

Concerto 26 ottobre

RICHARD GALLIANO, fisarmonica

Passion Galliano

Note di sala
di Simona Frasca*

La musica che ci accingiamo ad ascoltare questa sera sarà il nostro interruttore in grado di riattivare identità e origini culturali. Sfogliando l’album fotografico della famiglia Galliano scorgiamo un ritratto di Richard che all’età di 8 anni imbraccia il suo panciuto strumento accanto al padre, insegnante di fisarmonica, pronto ad accompagnare una piccola orchestra moderna. Uno scatto, un destino. Richard partecipa ai campionati di fisarmonica, vincendoli tutti, esegue svariati concerti e interpreta trascrizioni di pagine di autori celebri, cominciando ad intuire un modo diverso di suonare il suo strumento che fino agli anni Sessanta in Francia vantava un repertorio quasi esclusivamente popolare. Si trasferisce a Parigi e diventa fondamentale l’incontro con i fisarmonicisti Joss Baselli e André Astier, come anche con i cantanti Claude Nougaro, Serge Reggiani e Barbara e i jazzisti Chet Baker, Charlie Haden, Ron Carter e Michel Portal. Nell’ambito dell’organologia moderna la fisarmonica è uno strumento tra i più diffusi nel folklore euro-americano; ha trovato una collocazione di rilievo nei contesti contadini tanto da costituire una presenza costante nel progressivo svolgersi della storia della musica popolare. Come è stato giustamente osservato, la fisarmonica è stata a lungo l’emblema del “dopolavoro” dando vita ad una sorta di hausmusik trasferita sul piano della collettività. Nell’immaginario comune fino a qualche decennio fa la fisarmonica si fissava nel clima gaudente e disteso del tempo libero delle osterie in Baviera così come delle feste popolari in Italia. Anche quando compositori colti come Umberto Giordano, Alban Berg o Paul Hindemith inclusero lo strumento nell’organico delle loro opere l’intento fu di sfruttarne i facili effetti di caratterizzazione. Attraverso la fisarmonica la tradizione musicale europea popolare è giunta nel corso dell’800 in Argentina, lì nella variante del bandoneon (un tipo particolare di fisarmonica a doppia bottoniera), la nostalgia della musica degli immigrati europei è confluita nella storia intricata di danze più antiche come la habanera e la milonga, facendo ritorno in Europa nel corso del ‘900 sotto la veste struggente e polimorfa del tango argentino. Gli elementi costitutivi della fisarmonica latino-americana si individuano attraverso i contributi che le derivano da influenze italiane, tedesche, francesi e spagnole trapiantate nel bacino del Rio de la Plata. Il grande mediatore tra tango argentino e tradizione europea fu senza dubbio Astor Piazzolla, tra i principali compositori latino-americani ad aver posto l’accento sulla complessa stratificazione linguistica che si sente pulsare nella storia del tango argentino e del bandoneon. Come lui stesso amava dire: “La mia musica è per il 10% tango puro e per il 90% musica classica contemporanea”. Nella veste piazzolliana il tango argentino ed il bandoneon giungono in Europa rinnovando lo strumento e costituendo un più che valido punto di partenza per molti autori impegnati nella ricerca delle loro origini musicali e nella definizione di un proprio specifico linguaggio. Da questo punto di vista Richard Galliano si presenta come un post-piazzolliano. “Il mio amico Pierre Barouh – ricorda lo stesso Galliano nel profilo biografico redatto in occasione del Passion Galliano tour – ha scritto un bellissimo testo intitolato “L’Allégresse” su una delle mie composizioni “Il Piccolo Circo”, e mi diceva all’epoca: “È incredibile vedere il numero di paesi che hanno fatto della fisarmonica il loro strumento nazionale». In effetti la maneggevolezza dello strumento unito alla varietà di colori che lo rendono un ottimo sostituto del pianoforte hanno reso la presenza della fisarmonica fuori dall’Europa occidentale più che significativa, basti pensare ai repertori in Brasile, Argentina, Colombia, Cina, Russia, Ucraina e nei Balcani. Il fisarmonicista francese ha esperito molteplici combinazioni  di stile e di organico, da solo o in ensemble, e ha costruito un linguaggio moderno e “francese” del bandoneon/fisarmonica, non più strettamente popolare né esclusivamente debitore della tradizione argentino-piazzolliana. Un ricordo su tutti: nel 1979 a Bonson sulle Alpi Marittime in un prezioso 45 giri Galliano consegna una delle composizioni a lui più care “Tre immagini per fisarmonica” avviando la sua missione di trasformare il “pianoforte dei poveri” in uno “Steinway con le cinghie”.

La carriera formidabile che ne scaturì, l’attività lunga decenni, costellata di memorabili collaborazione e testimoniata dalle circa settanta incisioni discografiche gli hanno confermato che la strada intrapresa era quella giusta. Galliano è un instancabile sperimentatore, suona la fisarmonica, il bandoneon, il piano acustico, il sintetizzatore e all’occorrenza il trombone. Attivo dal 1970, da quando cioè decise di lasciare la sua città natale Cannes per dedicarsi alla musica da professionista, negli anni ha raccolto collaborazioni discografiche e concertistiche di ogni tipo Juliette Greco, Joe Zawinul, Palle Danielsson, Martial Solal, lo stesso Piazzolla, gli italiani Enrico Rava, Rita Marcotulli, Gabriele Mirabassi. La musica di Galliano è una mescolanza di tango (si badi quello argentino), danze europee, reminiscenze swing e ovviamente di musica francese, soprattutto del genere derivato dall’antica “musette” a cui Galliano si è dedicato da quando il suo maestro e amico Piazzolla gli assicurò che per trovare la sua strada sarebbe dovuto partire dalle sue origini musicali così come lui era partito dal tango argentino. Passion Galliano contempla composizioni originali del francese come “Chat Pître”, “Tango Pour Claude”, “La Valse à Margaux”, immancabili pezzi del repertorio piazzolliano “Vuelvo al Sur”, “Chiquilin de Bachin”, “Milonga del Angel”, “Oblivion” e brani del canzoniere francese come “Ô Toulouse”, “Ma plus Belle Histoire d’Amour”, “Les Feuilles Mortes”. La musica di Galliano possiede la peculiarità di essere reversibile, proponendosi come un raffinato gioco linguistico. Un brano di Galliano scegli tu stesso come ascoltarlo: se chiudi un canale è jazz, se ne apri un altro ti trovi in un bistrot della Parigi anni ’50. L’innesto è così compiuto. Ora possono calare le luci perché siamo nel mood del blues parigino.

 

*Questo testo non può essere riprodotto, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, in modo diretto o indiretto, temporaneamente o permanentemente, in tutto o in parte, senza l’autorizzazione scritta da parte dell’autore o della Associazione Alessandro Scarlatti 

 

 

 

Concerto 19 ottobre

LEONORA ARMELLINI, pianoforte

ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO

ALESSANDRO CADARIO, direttore


Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)

Concerto n.5 in re maggiore K 175 per pianoforte e orchestra 
Allegro 
Andante ma un poco Adagio 
Allegro 

Galimathias musicum K 32 “Quodlibet”
Molto allegro
Andante 
Allegro
Pastorella 
Allegro
Allegretto 
Allegro
Molto adagio
Allegro
Largo
Molto Allegro
Andante 
Allegro 
Minuetto
Adagio 
Presto
Fuga

Concerto n. 27 in si bemolle maggiore K 595 
Allegro 
Larghetto 
Allegro


Note di sala
di Massimo Lo Iacono*

Il numero K 175, mai modificato nel succedersi delle edizioni del catalogo delle opere di Mozart, indica il primo vero concerto per pianoforte ed orchestra scritto, in Salisburgo, dal musicista (1773): cioè, i lavori indicati così, che lo precedono, sono semplicemente elaborazioni di composizioni di Mozart o altri. In questo modo inizia l’avventura di Mozart in un genere di cui ha formalizzato l’impostazione generale, arricchendolo anche con singole felicissime invenzioni melodiche, ritmiche, strumentali, espressive.  Il musicista ha eseguito spesso questo concerto, prediligendolo, ed alcune esecuzioni, in tournée, sono documentate. Le più importanti sono quelle a Vienna, dove si era da poco stabilito, nel 1782, in cui Mozart sostituisce al bel finale originario un nuovo brillantissimo pezzo, Rondò K 382, ritenendolo definitivo: tuttavia la diversità stilistica è molto forte. Nel brioso secondo finale, c’è la tenera euforia di quel primo periodo viennese di Mozart che culmina nel “Ratto dal serraglio” (K 384). Inutile parteggiare per l’uno o l’altro   movimento conclusivo del concerto: sono, diversamente molto belli entrambi. Tutti e tre i movimenti hanno forma sonata, generosamente con qualche soggetto in più, elegante, e nuova per l’epoca, dialettica solo-tutti. Il ricco organico strumentale è valorizzato in pompa ed esuberanza nei movimenti estremi, valorizzato con diverso approfondimento espressivo delicato nel movimento centrale. Qui ci sono aliti di nuova, romantica sensibilità. Esistono le cadenze di Mozart. 

Il Gal(l)imathias musicum “Quidlibet” K 32: indicato con la doppia L negli scritti di Leopold Mozart, è un singolare divertimento, che può sembrare erroneamente una monelleria, un poupurrit di invenzioni, scritto all’Aja in occasione delle feste per l’insediamento del principe d’Orange 1766. È un lavoro di 17 pezzetti vari (conosciuto in varie stesure con problemi filologici), disposti in modo da realizzare contrasti anche buffi, variando spunti di danza e canti popolari noti; all’inizio c’è una parodia da Haendel ed alla fine una fuga su un inno olandese, verosimilmente il più antico d’Europa, già usato da Mozart poco tempo prima in altro lavoro. Si tratta del canto “Wilhlelmus von Nassouwe” attestato dal 1603, e tutt’ora eseguito di frequente. “Quodlibet” significa che i pezzi possono essere eseguiti indipendentemente. Sul bizzarro nome latino della composizione, su cui i più celebrati esegeti di Mozart poco si sono soffermati, si possono consultare in Internet il sito Treccani ed altri, soprattutto uno francese www.cnrtl.fr/definition/galimathias. Ci sono micro invenzioni di alto artigianato che conservano anche temi di Leopold Mozart, noti solo agli specialisti. E molti ritengono il lavoro in gran parte del papà abilissimo di Wolfgang. Composizioni del genere oggi ignote ai più erano allora in voga nella Germania meridionale.  A Napoli questo lavoro sembra non sia mai stato eseguito negli ultimi decenni: forse nei concerti del bicentenario della morte di Mozart (1991) ma non se ne trova traccia. Anche l’indicazione K 32 di questo pezzo non ha subito revisioni nelle varie riedizioni del catalogo delle composizioni di Mozart, il che vale pure per l’indicazione K 595 dell’ultimo concerto scritto da Mozart per pianoforte ed orchestra, completato il 5 gennaio 1791. Fu eseguito da Mozart nel ristorante di tal Jahn, in un concerto in cui la star era il clarinettista Baeher. Questo concerto non è un testamento spirituale: ma lo diventa, come le ultime composizioni di Mozart con clarinetto, le ultime pagine per i confratelli massoni e la sublime “Clemenza di Tito”, ancora poco amata e capita, nonostante le molteplici riprese negli ultimi anni. Scritto forse su commissione, il lavoro è di grande difficolta espressiva, scevro da esuberanza virtuosistica. Ne sono peculiarità la presenza di materiale tematico popolare, ovviamente trasfigurato, ed il serrato dialogo solista/tutti, di rara compattezza. Occasionale esuberanza e tanta intima delicatezza che sembra preludere, come in altri lavori coevi di Mozart, agli aspetti più intimi e squisiti dell’emergente Romanticismo. Magari, si intravede l’ispirazione di Schubert, di qualche spunto di Beethoven, ma mai ascoltando questo concerto si immaginerebbero le esplosioni virtuosistiche al pianoforte e tonanti in orchestra dei compositori del pieno Ottocento. Alcuni temi o frammenti di temi sono ben individuati: nel primo movimento uno spunto dall’aria di Osmin proprio dal “Ratto dal serraglio” ed uno dalla sinfonia n.41; nel movimento centrale uno da La fedeltà premiata” di Haydn; nel finale, il tema del tenerissimo Lied K 596, che si vuole composto utilizzando il tema del terzo movimento del concerto, laddove sarebbe più bello immaginare il contrario. Di questo Lied il lettore dovrebbe cercare in Internet l’esecuzione con il soprano Elisabeth Schwarzkopf ed il pianista Walter Gieseking: talvolta la perfezione è di questa terra. O almeno lo sembra.

*Questo testo non può essere riprodotto, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, in modo diretto o indiretto, temporaneamente o permanentemente, in tutto o in parte, senza l’autorizzazione scritta da parte dell’autore o della Associazione Alessandro Scarlatti 

Concerto 11 ottobre

FEDERICO COLLI, pianoforte

Domenico Scarlatti – Sonata in re minore K. 32; Sonata in do minore K. 40; Sonata in do maggiore K. 95

Wolfgang Amadeus Mozart – Fantasia in do minore K. 475; Sonata in si bemolle maggiore K. 333

Sergej Prokof’ev – Visions Fugitives op. 22; Pierino e il Lupo (trascrizione per pianoforte di Tatiana Nikolayeva)

 

Note di sala
di Gianluca D’Agostino*

 

Domenico Scarlatti, Sonate K. 32 in re minore, K. 40 in do minore, K. 95 in Do maggiore

È probabilmente incauto affermare che poco sia noto sulla prima parte della vita di Domenico Scarlatti (Napoli 1685-Madrid 1757), cioè dal suo apprendistato all’ombra del padre Alessandro, fino al periodo di Roma e poi di Lisbona, rispetto a quanto si sa sulla seconda metà di essa, ossia il suo trasferimento in Spagna, al seguito della sua mecenate musicofila, la principessa Maria Barbara di Braganza di Portogallo, e di suo marito Ferdinando delle Asturie (poi Fernando VI re di Spagna). La verità è che Scarlatti rimane pur sempre un enigma, poiché quasi nulla sappiamo della sua personalità e della sua evoluzione interiore, e che questo vale anche per gli anni della maturità “spagnola”, cioè di quel tempo di grandissima creatività (ancorché egli fosse quasi prossimo alla vecchiaia) nel quale pubblicò, a partire dagli Essercizi per Gravicembalo (1738), la quasi totalità delle sue celebri Sonate.  Colpiscono una serie di circostanze; per esempio che fosse già circondato da una “fama quasi mitica”, ma che la vivesse sempre in disparte, come se fosse restio ad approfittare delle occasioni di visibilità che la corte spagnola gli offriva; quella stessa corte che, peraltro, aveva portato in auge il celebre castrato Carlo Broschi detto “Farinelli”, amico di Domenico, ma che da parte sua non si fece certo scappare offerte allettanti, come quella di dirigere le opere e gli spettacoli di corte. Colpisce, dunque, il fatto che Scarlatti apparentemente fuggisse dalle ambizioni di gloria e di carriera, ottenendo sì un importante “cavalierato”, ma in fondo contentandosi di restare sempre il didatta privato dei sovrani e maestro di cappella regio. E che in tal veste fu ostinato e monotematico nel comporre essenzialmente per la sola tastiera (clavicembalo o fortepiano, più raramente organo), in un modo didattico e se vogliamo didascalico, eppure proprio per questa via arrivando a formare, alla fine, un poderoso corpus di oltre 550, straordinarie sonate clavicembalistiche, che avrebbero inciso sulla storia della musica e del linguaggio musicale e influenzato i maggiori compositori successivi.  E ancora impressiona che il maggior numero di sonate, comprese quelle più elaborate e impegnative, fu pubblicato, se non proprio composto, negli ultimi anni di vita (dal 1752 al 1757): la celebre “serie regale” in tredici volumi dedicati appunto alla regina, poi passata a Bologna, proprio per il tramite di Farinelli, quindi alla Biblioteca Marciana di Venezia. Parimenti stupisce che non un solo autografo scarlattiano ci sia giunto, poiché tutto è frutto del lavoro di copisti, compresi gli altri due volumi che erano stati precedentemente ricopiati, nel ‘42 (Venezia XIV) e nel ‘49 (Venezia XV), e compresa un’altra serie di quindici volumi (non regale), poi confluita alla Biblioteca del Conservatorio di Parma, e altre collezioni minori.  In questo enorme corpus, genericamente divisibile (seguo in questo il massimo studioso di Scarlatti, Ralph Kirkpatrick) in “Sonate del primo periodo”, “Sonate in stile ‘flamboyant’” e “Sonate tarde”, si riflette un’enorme varietà di stili (italiani, spagnoli), di fonti (popolari, colte), di ispirazioni (arcaico, stilizzato, elaborato, innovativo) e di atteggiamenti (melodico, lirico, patetico, meditativo, accademico, pomposo, eroico, brillante, virtuosistico, ecc.). Mentre resta sostanzialmente invariato un principio formale, che è quello di un unico movimento bipartito, ossia diviso in due metà da una doppia stanghetta: la prima metà annunzia il materiale tematico nella tonalità fondamentale e poi si sposta fino a definire, tramite cadenze, quella conclusiva (alla dominante, o al relativo maggiore o minore); mentre la seconda metà si allontana da questa tonalità, fa alcune digressioni, infine ristabilisce il tono fondamentale, sempre attraverso cadenze decisive. A questo principio se ne può abbinare un altro di tipo organizzativo, ossia quelle di scrivere le sonate “a coppie” (per contrasto o integrazione reciproca, tipicamente l’una in minore, l’altra in maggiore); ma molte sono anche le infrazioni a questa regola. Pure importante è la costante attitudine allo stile improvvisativo, che apparenta queste sonate al genere della Toccata seicentesca (cui forse il nostro si era avvicinato tramite il padre Alessandro, o tramite altri maestri napoletani, come Gaetano Greco) e che si rileva da quella che il clavicembalista Enrico Baiano (grande conoscitore di questo repertorio) chiama la “gestione spregiudicata ma saldamente razionale di una miriade di materiali eterogenei”; il che poi ci riporta alla memoria il celebre commento che un contemporaneo fece ad un concerto dello stesso Scarlatti: “la sensazione che mille diavoli sedessero allo strumento”. Le tre Sonate eseguite stasera sono comunque appartenenti al “primo periodo” e appaiono tutte ispirate ad un criterio di massima economia e semplicità. La Sonata K. 32 è un’ “Aria”, molto lirica e patetica, che sembra anticipare le atmosfere dei tempi lenti delle sonate mozartiane; nella stessa falsariga la K. 40, un “Minuetto” parimenti semplice ma con figurazioni melodiche composte da capricciosi salti intervallari di quinta e di sesta e da frequenti abbellimenti (appoggiature, trilli). Le due sonate peraltro provengono dalla medesima raccolta “Roseingrave”, che si deve al musicista Thomas Roseingrave, amico e ammiratore di Scarlatti, che fu l’iniziatore del culto scarlattiano oltremanica. Di altro genere è la K. 95 (anche essa proveniente da una raccolta minore, la “Boivin”), che ha invece l’apparenza di esercizio didattico, ma non banale: su un tappeto di terzine della mano sinistra, si eleva una melodia facile e leggera e dall’aspetto decisamente teatrale, eseguita con tipico incrocio della mano destra tra un “botta” (trillo iniziale al registro acuto) e una “risposta” (salto cadenzale al registro grave).

 

Wolfgang Amadeus Mozart, Fantasia in do minore K. 475

La Fantasia in do minore K. 475 fu completata da Mozart nel maggio del 1785 a Vienna e viene di norma proposta come introduzione o come complemento alla Sonata per pianoforte K 457. Lo stretto legame tra le due è costituito non solo dalla tonalità, ma dall’atmosfera e dalla sonorità d’insieme, da quel clima di inquietudine appassionata che le accomuna e che a tutti fa subito pensare a un’incredibile anticipazione beethoveniana. Fu espressamente concepita per un fortepiano ”con grossa pedaliera”, avendo Mozart ormai da tempo abbandonato il clavicembalo. Ne consegue che le sonorità sono specificatamente pianistiche: Mozart sfrutta le varietà timbriche dello strumento e vi inserisce inusitate figurazioni e particolari effetti cromatici. 

Wolfgang Amadeus Mozart, Sonata per pianoforte n. 13 in si bemolle maggiore K. 333

Si è a lungo ritenuto, e molti ancora pensano, che la Sonata in si bemolle maggiore K. 333 faccia parte di un gruppo di sonate per pianoforte composto da Mozart durante il soggiorno parigino nel 1778 (quello durante il quale gli morì la madre), o che al massimo sia stata composta poco tempo, vale a dire a Salisburgo o a Vienna, ai primissimi anni Ottanta. Studi più recenti suggeriscono invece di collocarla ancora oltre, e precisamente al 1783, nel periodo di Linz. Sia come sia, la Sonata è meno brillante delle “consorelle” del predetto gruppo (K. 330, 331, 332), ma non per questo la si dovrà sentire necessariamente come “dolorosa”, cosa che invece sostiene a un certo punto Hermann Abert. Spicca semmai, sin dal primo tempo, “Allegro”, l’impianto formale rigorosamente classico, la perfetta fisionomia dei temi, e soprattutto il magnifico incastro tematico, secondo un meccanismo che ormai Mozart aveva già ampiamente sviluppato al grado più elevato, e che si ritrova, per esempio, in coevi lavori orchestrali come i Divertimenti. La ripetizione con il “da capo” delle prime sezioni, sia nel primo che nel secondo movimento, è un elemento del tutto convenzionale che probabilmente Mozart era il primo a non soffrire più, e che “allunga un po’ il brodo”. Molto brevi, per converso, sono gli sviluppi centrali. D’altra parte il secondo movimento, “Andante Cantabile”, è davvero “cantabile” ed anche elegiaco nel tono generale, ma il bello qui non sta all’inizio, quanto piuttosto dopo la ripetizione della prima sezione, quando si coglie uno scarto ed affiora effettivamente una nota di “dolore”, espressa, dopo sorprendenti modulazioni cromatiche, da una cellula ritmica iterata (le tre crome e la semiminima) che evidentemente per l’autore assumeva una particolare valenza psicologica. Nel finale, “Allegretto grazioso”, lo Abert individuava tratti di “felice e bonaria giovialità”; direi piuttosto che la sua fisionomia generale ricorda il rondò finale dei concerto per pianoforte (ma qui evidentemente, senza orchestra), con un inizio in cui la scrittura è piena di manierismi un po’ leziosi, ed una sezione centrale dove, di nuovo, Mozart è come se innalzasse il registro emotivo, aumentando la frequenza dei salti intervallari, infondendo notevole varietà ritmica, cesurando il discorso con pausa ad effetto molto teatrale. Anche la comparsa di una Cadenza finale assai virtuosistica, imparenta decisamente la Sonata al mondo dei Concerti strumentali.

Sergej Prokof’ev, Visions fugitives, op. 22

Ci spostiamo, al termine di questo concerto, in Russia, in uno dei momenti più decisivi e convulsi della sua storia moderna, quello cioè tra la Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione del 1917. Sergej Prokofiev (1891-1953) si affacciava alla ribalta musicale nazionale, forte soprattutto della vittoria conseguita nel 1914 al prestigioso premio pianistico Rubinstein, ma anche della recente conoscenza di veri “big” della musica, come Debussy, Ravel, Strauss e Djagilev. Dopo questi viaggi europei (che compresero anche una tournée a Roma), tornò a Pietroburgo, ma lo scoppio dei moti rivoluzionari lo indusse a sottoporsi a spostarsi, recandosi prima nei pressi della città, poi raggiungendo la madre nel Caucaso. Lì verosimilmente trovò le condizioni idonee per completare alcune opere che aveva già in gestazione, come la Prima Sinfonia “Classica” e come, appunto, questa raccolta di venti brani per pianoforte intitolata Visions fugitives, iniziata già nel 1915 e ispirata, fin dal titolo, ai versi del poeta Konstantin Bal’mont, considerato tra i migliori esponenti del simbolismo russo. Appare lecito guardare a quest’opera come ad un “carnet delle esperienze tecniche e delle caratteristiche del pianismo prokofieviano”, intendendo con ciò soprattutto la caratteristica articolazione energica e motoristica, gli accordi martellati, i ritmi ostinati, le note fortemente puntate, gli accordi in sforzando, ecc. Una certa stratificazione nella composizione sembrerebbe invece ravvisabile, tra le altre cose, dal fatto che alcuni brani sono provvisti di indicazioni sugli “stati d’animo” con cui erano stati concepiti, mentre altri recano soltanto l’indicazione dinamica, senza sovrastrutture espressive. A dispetto del titolo, la critica suggerisce in questo caso di non parlare di “impressionismo musicale” tout court; tuttavia l’influenza di Debussy (i Preludes, in particolare), beninteso attraverso la lezione “esoterica” di Skrjabin, appare evidente.

1.Lentamente. Il primo brano è quasi un preludio: inizia pianissimo, “con una semplicità espressiva”, per poi mutare in “misterioso”, con accordi un po’ arcani ed una scala discendente con cui il pezzo si conclude svanendo;

2. Andante. Una sorta di arabesco con svolazzi improvvisi e rapsodici di note alla mano destra, contrastate da forte acciaccature dissonanti;

3. Allegretto. In forma ternaria, presenta un primo tema con melodia alla mano sinistra e accordi della destra, ed un secondo tema proposto in senso opposto: qui il tema con semiminime puntate ha andamento quasi marziale ed il senso motoristico crea un effetto suggestivo;

4. Animato. Più mosso rispetto ai precedenti, fortemente ritmato, con veloci arpeggi che attraversano la tastiera in modo quasi toccatistico ed una sezione in 3/4 con note ribattute a formare una marcia quasi meccanica;

5. Molto giocoso. Brevissimo pezzo, scherzoso e umoristico;

6. Con eleganza. Ha modalità ritmate e quasi danzanti, l’armonia è come di consueto molto modulante ed il tema ha nei forti salti intervallari la sua cifra distintiva;

7. Pittoresco (“Arpa”). Brano dall’andamento narrativo e perfino descrittivistico (è l’unica delle Visions che abbia un titolo, “Arpa”), costruito su una melodia evanescente di impronta impressionistica, vicina a Debussy; un susseguirsi di arpeggi è interrotto da un accordo su note basse che porta il pezzo a chiudersi pacatamente; 

8. Commodo. Moderatamente vivace e armonicamente più tradizionale dei precedenti: il fitto contrappunto della scrittura non oscura, ma anzi fa risaltare la melodia principale, anche stavolta vicina a Debussy;

9. Allegro tranquillo. Una tipica alternanza di accordi ribattuti e spigolosi, con una veloce risposta di quartine di semicrome, alternata fra le due mani con scorrevolezza;

10. Ridicolosamente. Brano nervoso e ritmato, con accompagnamento della mano sinistra in accordi staccati e con una melodia dissonante alla destra;

11. Con vivacità. Rapidi gruppetti di note suonate come appoggiature;

12. Assai moderato. In tempo ternario, più meditativo;

13. Allegretto. Semplice e dal carattere un po’ scherzoso;

14. Feroce. Il brano più dissonante, ritmato e con forti dinamiche della raccolta, ha il tipico andamento ostinato e percussivo dell’autore;

15. Inquieto. Parimenti ritmato e accentato;

16. Dolente. In forma ternaria, costruito su una melodia discendente, un po’ meccanica e statica, fortemente cromatica; 

17. Poetico. Inizia con accompagnamento della destra, mentre la “melodia” cromatica, in realtà quasi atonale, è affidata alla sinistra: le due mani poi passano a suonare insieme nelle stesse figurazioni, eseguendo una serie di accordi che portano alla conclusione;

18. Con una dolce lentezza. Brano lirico, con una imponente melodia a curva della mano destra;

19. Presto agitatissimo e molto accentuato. Movimento velocissimo e martellante con accenti in sforzando della mano sinistra; 

20. Lento irrealmente. Il brano conclusivo è il più lungo della serie e presenta una melodia di suggestione impressionistica, con terzine spezzate ascendenti e discendenti che imprimono un senso fortemente cullante ed evocativo, quasi come una barca in tempesta.

 Sergej Prokof’ev, Pierino e il Lupo (trascrizione per pianoforte di Tatiana Nikolayeva)

Anni luce, piuttosto che i vent’anni che caddero tra le due partiture, sembrano distanziare le Visions dal Pierino e il lupo. Prokof’ev, rientrato definitivamente nel 1932 in quella che nel frattempo era divenuta l’Unione Sovietica, fu presto accusato dalla censura di stato di attentare alla cultura del popolo, e dunque dovette dimostrare di sapere e di volere onorarla con opere che fossero semplici ed orecchiabili. Nacque così il racconto sinfonico per bambini che tutti conoscono (prima esecuzione: maggio 1936) e che sarebbe col tempo divenuto poi famosissimo (ma che all’inizio fu accolto male): esso ha come protagonista il giovane Pierino e come aiutanti i suoi amici animali, l’uccellino, l’anatra e il gatto, come antagonista il lupo, e come comprimari il nonno e i cacciatori.  La genialità qui sta nell’aver composto dei ritratti musicali perfetti di ogni personaggio, ciascuno basato su un leitmotiv e ognuno affidato a un determinato strumento musicale. La trascrizione dell’opera che stasera ascoltiamo fu operata dalla grande pianista russa Tatiana Nikolaeva (1924-1993). Essa necessariamente riduce la pluralità degli strumenti ad uno solo, la tastiera, ma senza sacrificare niente, in termini di colori e di virtuosismo. Il tema di Pierino è esposto all’inizio come un minuetto graziosissimo, ma sono le sue successive variazioni a giocare argutamente sul contrasto agogico e dinamico, oltre che sulla tavolozza timbrica. I successivi trilli e gli svolazzamenti dell’uccellino si perdono appena un po’ nella resa pianistica, che tuttavia guadagna per brillantezza; l’andamento lento del tema dell’anatra è accentuato con il suo caratteristico rubato, e poi ne segue un lungo trattamento anche qui molto virtuosistico. Segue ancora il sornione incedere indolente del gatto, sottolineato da note staccate, e poi quello goffo e impacciato del nonno. Il tema del lupo è trattato con uno straniante effetto di marcia, mentre quello dei cacciatori implica una notevolissima ricerca di effetti timbrici, degna del miglior Liszt; concludendosi il tutto, nel modo migliore ed anche pianisticamente più efficace, con la grande Marcia trionfale finale.

 

*Questo testo non può essere riprodotto, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, in modo diretto o indiretto, temporaneamente o permanentemente, in tutto o in parte, senza l’autorizzazione scritta da parte dell’autore o della Associazione Alessandro Scarlatti 

 

 

 

Grande Musica a San Giorgio.
Progetto Rachmaninov e dintorni

Pronti con la seconda parte di Grande Musica a San Giorgio dedicata al progetto “Rachmaninov e dintorni” in collaborazione con il  Conservatorio Giuseppe Martucci di Salerno. Prosegue così il felice rapporto di collaborazione con il Conservatorio di Salerno, e, in particolare, con la sua prestigiosa scuola di pianoforte. Otto giovanissimi allievi proporranno un vero e proprio cartellone di quattro appuntamenti in omaggio a Rachmaninov, il grande compositore di cui nel 2023 si celebra il 150° anniversario della nascita, proponendo non soltanto sue musiche ma anche composizioni di autori russi a lui legati.

SALERNO, CHIESA DI SAN GIORGIO 

30 SETTEMBRE – 28 OTTOBRE ore 19.30

Con il patrocinio morale del Comune di Salerno


Sabato 30 settembre ‒ ore 19.30 

Luigi Merone, pianoforte  

Sergej Prokof’ev – Sonata n. 2 in re minore op. 14 

Sergej Rachmaninov – Etudes-tableaux op. 39 nn. 2, 4, 6

Alessandro Volpe, pianoforte 

Sergej Rachmaninov – dai Morceaux de salon op. 10  

Alexandr Skrjabin – Studio op. 8 n. 12

Sergej Prokof’ev – Sonata n. 7 in si bemolle maggiore op. 83


Sabato 7 ottobre ‒ ore 19.30

Federico Cirillo, pianoforte

Sergej Rachmaninov – 3 Nocturnes

Alexandr Skrjabin – Mazurca WoO 15; Mazurca WoO 16

Sergej Prokof’ev – “Montecchi e Capuleti” dai 10 Pezzi dal balletto Romeo e Giulietta op. 75; Suggestion diabolique op. 4 n. 4

Lorenzo Villani, pianoforte 

Sergej Rachmaninov – dai Morceaux de fantaisie op. 3

Alexandr Skrjabin – Sonata n. 3 in fa diesis minore op. 23 


Sabato 21 ottobre ‒ ore 19.30

Davide Cesarano, pianoforte  

Sergej Rachmaninov – Preludi op. 23 nn. 1-2-3-4-5

Alexandr Skrjabin – Fantasia in si minore op. 28

Sergej Prokof’ev – Toccata op. 11

Giovanna Basile, pianoforte 

Sergej Rachmaninov – Preludi op. 23 n. 6-7-8-9-10; Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 36 


Sabato 28 ottobre ‒ ore 19.30  

William Pio Cristiano, pianoforte

Sergej Rachmaninov – 13 Preludi op. 32; Polka de W. R.

Gianantonio Frisone, pianoforte 

Sergej Rachmaninov – Six Moments Musicaux, op. 16

Con la Testa nella Musica – Stagione Concertistica 2023/24

Siamo pronti per una nuova intensa stagione concertistica! 

Si apre ufficialmente la campagna abbonamenti della stagione 2023-24. Un programma ricco e trasversale costituito da 18 appuntamenti tra Teatro Sannazaro, teatro Acacia e Teatro Mercadante con orchestre e solisti di grandissimo livello : inaugurazione l’11 ottobre con il pianista Alexander Gadjev e poi, tra gli altri, Leonora Armellini con l’Orchestra di Padova e del Veneto, Richard Galliano, Luigi Piovano con l’Orchestra del Mozarteum di Salisburgo, Alexander Lonquich, Nicola Piovani.


 Mercoledì 11 ottobre 2023 – Teatro Sannazaro 

Concerto inaugurale

ALEXANDER GADJEV, pianoforte


Giovedì 19 ottobre 2023 – Teatro Acacia 

LEONORA ARMELLINI, pianoforte

ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO

ALESSANDRO CADARIO, direttore


Giovedì 26 ottobre 2023 – Teatro Sannazaro 

RICHARD GALLIANO, fisarmonica


Giovedì 2 novembre 2023 – Teatro Sannazaro

ALEXANDER ROMANOVSKY, pianoforte


Giovedì 9 novembre 2023 – Teatro Sannazaro

BEETHOVEN IN VERMONT, spettacolo scritto e diretto da MARIA LETIZIA COMPATANGELO con il TRIO METAMORPHOSI e musiche di LUDWIG VAN BEETHOVEN.

MAURO LOGUERCIO violino ‒ Adolf Busch

FRANCESCO PEPICELLI violoncello ‒ Hermann Busch

ANGELO PEPICELLI pianoforte ‒ Rudolf Serkin


Mercoledì 15 novembre 2023 – Teatro Acacia 

OFM – ORCHESTRA FEMMINILE DEL MEDITERRANEO

ANTONELLA DE ANGELIS, direttore

ETTORE PAGANO, violoncello


Mercoledì 6 dicembre 2023 – Teatro Acacia 

NICOLA PIOVANI – NOTE A MARGINE

Marina Cesari, sax

Marco Loddo, contrabbasso

Nicola Piovani, pianoforte 


Giovedì 14 dicembre 2023 – Teatro Sannazaro 

JAVIER COMESANA, violino

MATTEO GIULIANI DIEZ, pianoforte


Giovedì 18 gennaio 2024 – Teatro Sannazaro 

TRIO JEAN PAUL

Integrale Trii di Brahms, Mendelssohn e Schumann (secondo concerto)


Giovedì 8 febbraio 2024 ‒ Teatro Sannazaro 

YING – LI, pianoforte


Giovedì 15 febbraio 2024 – Teatro Sannazaro 

ENSEMBLE ARS LUDI

I due leoni

Antonio Caggiano, Gianluca Ruggeri, Rodolfo Rossi, percussioni


Giovedì 22 febbraio 2024 – Teatro Sannazaro 

ALEXANDER LONQUICH, pianoforte


Giovedì 7 marzo 2024 – Teatro Mercadante 

ORCHESTRA DEL MOZARTEUM DI SALISBURGO

LUIGI PIOVANO, violoncello solista e direttore


Giovedì 14 marzo 2024 – Teatro Sannazaro 

ANIELLO DESIDERIO, chitarra


Mercoledì 20 marzo 2024 – Teatro Acacia 

ORCHESTRA LA FILHARMONIE

ENRICO BRONZI, violoncello

NIMA KESHAVARZI, direttore


Giovedì 4 aprile 2024   – Teatro Acacia 

FILIPPO GORINI, pianoforte

I SOLISTI AQUILANI


Giovedì 11 aprile 2024 – Teatro Sannazaro 

IAN BOSTRIDGE, tenore

CAPPELLA NEAPOLITANA

ANTONIO FLORIO, direttore


Giovedì 18 aprile 2024 – Teatro Sannazaro 

ENSEMBLE BAROCCO DI NAPOLI


Calendario completo

ABBONAMENTI E BIGLIETTI

Luglio Musicale a Capodimonte

Ritorna il Luglio Musicale al Real Bosco di Capodimonte: quattro concerti gratuiti, finanziati dalla Regione Campania con fondi POC e organizzati dal Museo e Real Bosco di Capodimonte in collaborazione con l’Associazione Amici di Capodimonte ets. Naples-Paris: sulle corde della musica è il titolo scelto per il programma elaborato dal direttore artistico Tommaso Rossi. Un programma vario che vedrà protagonisti  Maria Grazia Schiavo, soprano di fama mondiale, che  inaugura la rassegna con il pianista Maurizio Iaccarino: un vero e proprio viaggio sentimentale – “di cuore” – tra Napoli e Parigi.

Nel secondo concerto c’è il racconto della Napoli settecentesca che viene fuori dalle lettere di Mozart, filtrate dal sensibile testo di Stefano Valanzuolo.

Per il terzo concerto ci sposteremo nella Parigi raffinatissima del primo Novecento, vibrante della musica splendida di Satie, Debussy e Poulenc, proposta da Ciro Longobardi, pianista di scuola napoletana, ma grandissimo esperto del repertorio francese.

L’ultimo appuntamento è con il Quartetto di Cremona – ensemble protagonista della scena internazionale – propone l’ardito confronto tra due compositori che incarnano, forse più di tutti, le grandi tradizioni musicali, italiana e francese: da un lato Giuseppe Verdi (di cui verrà eseguito il quartetto d’archi, composto – guarda caso – a Napoli) e dall’altro Maurice Ravel.

Tutti i concerti sono ad ingresso gratuito fino ad esaurimento posti

 

Programma:

Domenica 16 luglio ore 19.30 

Passeggiate amorose da Napoli a Parigi tra il XVIII e il XIX secolo

Maria Grazia Schiavo, soprano

Maurizio Iaccarino, pianoforte

Musiche di Antonio Sacchini, Ferdinando Paër, Francesco Mancini, Domenico Cimarosa, Gaetano Donizetti, Vincenzo Bellini, Teodoro Cottrau, Charles Gounod, Reinaldo Hahn, Giacomo Puccini, Stefano Donaudy, Mario Pilati, Victor Herbert.

 

Sabato 22 luglio, ore 19.30 

“La città dei trecento Maestri” – Napoli vista da Mozart

Stefano Valanzuolo, voce narrante e testo

Samuele Telari, fisarmonica

Solis String Quartet

Vincenzo Di Donna, violino

Luigi De Maio, violino

Gerardo Morrone, viola

Antonio Di Francia, violoncello

Musiche di Wolfgang Amadeus Mozart, Domenico Scarlatti, Domenico Cimarosa, Sergej Prokof’ev, Giuseppe Martucci, Camille Saint-Saëns.

Trascrizioni, adattamenti ed elaborazioni musicali di  Antonio Di Francia e Vincenzo Di Donna

 

Domenica 23 luglio ore 19.30 

Ciro Longobardi, pianoforte

Musiche di Erik Satie, Francis Poulenc e Calde Debussy

 

Domenica 30 luglio, ore 19.30

Quartetto di Cremona

Musiche di Maurice Ravel e Giuseppe Verdi

 

 

 

 

 

 

 

Musica con Vista – Vagues Saxophone Quartet

Vagues Saxophone Quartet

“Americhe”

Villa Guariglia, Vietri sul Mare
Sabato 15 luglio ore 21.00
Vagues Saxophone Quartet

Andrea Mocci
Francesco Ronzio
Mattia Quirico
Salvatore Castellano

Programma:
Kurt Weill -The Three penny Opera
George Gershwin – Rhapsody in Blue
Astor Piazzolla – Milonga del Angel
Leonard Bernstein – West Side Story

Ingresso gratuito fino ad esaurimento posti
Concerto in collaborazione con il Comune di Vietri sul Mare

Musica sotto le Stelle III edizione

L’Associazione Alessandro Scarlatti, in collaborazione con la Direzione regionale Musei Campania e con il Conservatorio Giuseppe Martucci di Salerno, con il patrocinio della Fondazione Emiddio Mele, presenta nell’incantevole scenario di Villa Pignatelli, dal 7 al 28 luglio la terza edizione della rassegna Musica sotto le Stelle.

Sette concerti, dedicati alla valorizzazione della giovane creatività e con la presenza di ensemble di grande valore tra cui il Quartetto Eos, affiancato dal pianista napoletano Francesco Caramiello, con il quale eseguirà il Quintetto in si bemolle maggiore op. 5 n. 2 per pianoforte e archi di Giovanni Sgambati, compositore di grandissimo spessore nell’ambito della musica da camera italiana di fine Ottocento, di cui lo stesso Caramiello è un fine conoscitore.

Il Vagues Saxophone Quartet propone, il 14 luglio, musiche di compositori provenienti dal continente americano come l’argentino Astor Piazzolla, gli statunitensi George Gershwin, Leonard Bernstein e il tedesco naturalizzato statunitense Kurt Weill. 

Di particolare interesse è la presenza (il 21 luglio) di un ensemble di violoncelli, diretto da Luca Signorini, docente al Conservatorio San Pietro a Majella, che raccoglie una ventina di suoi giovani allievi in un repertorio di trascrizioni e brani originali. Un accattivante impasto sonoro, alla ricerca di una dimensione anche inedita del fare musica e di un mondo dei suoni al di fuori di schemi spesso ingabbianti e monotoni. 

 

Programma completo:

Venerdì 7 luglio ore 20.30

Francesco Caramiello, pianoforte

Quartetto Eos

Musiche di Franz Joseph Haydn e Giovanni Sgambati

Martedì 11 luglio ore 20.30 

Luigi Merone e Alessandro Volpe, pianoforte

Progetto Rachmaninov e dintorni 

Musiche di Sergej Rachmaninov, Sergej Prokof’ev, Alexander Skrjabin

Venerdì 14 luglio ore 20.30

Vagues Saxophone Quartet

Musiche di Astor Piazzolla, George Gershwin, Leonard Bernstein

Martedì 18 luglio ore 20.30

William Pio Cristiano e Gianantonio Frisone, pianoforte

Progetto Rachmaninov e dintorni 

Musiche di Sergej Rachmaninov, Sergej Prokof’ev, Alexander Skrjabin

Venerdì 21 luglio ore 20.30 

Ensemble di violoncelli del San Pietro a Majella – Luca Signorini

Musiche di: Johann Sebastian Bach, Pëtr Il’ič Čajkovskij, Antonio Vivaldi, Salvatore Sciarrino,

Francois Servais, George Gershwin, Richard Rodgers, Miles Davis.

Martedì 25 luglio ore 20.30

Federico Cirillo e Lorenzo Villani, pianoforte 

Progetto Rachmaninov e dintorni 

Musiche di Sergej Rachmaninov, Sergej Prokof’ev, Alexander Skrjabin

Venerdì 28 luglio ore 20.30 

Progetto Rachmaninov e dintorni 

Giovanna Basile e Davide Cesarano, pianoforte

Musiche di Sergej Rachmaninov, Sergej Prokof’ev, Alexander Skrjabin

 

Biglietti:
10 euro intero – 5 euro ridotto in vendita un’ora prima del concerto presso Villa Pignatelli e online su Azzurro Service
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Musica con Vista – Quartetto Eos & Francesco Caramiello – Mercoledì 5 luglio

Quartetto Eos & Francesco Caramiello
Villa Campolieto, Ercolano
Mercoledì 5 luglio 2023 ore 20.30

Quartetto Eos
Elia Chiesa, violino
Giacomo Del Papa, violino
Alessandro Acqui,viola
Giorgio Lucchini, violoncello
Francesco Caramiello, pianoforte

Programma:
Franz Joseph Haydn (1732 -1809)
Quartetto in Sol maggiore, op. 77 n. 1
Allegro moderato
Adagio Menuetto – Trio
Finale: Presto
Giovanni Sgambati (1841-1914)
Secondo quintetto in SI bemolle maggiore op. 5
Andante – Vivace
Barcarola: Allegretto con moto
Andante sostenuto
Allegro vivace

Biglietti acquistabili presso Villa Campolieto a partire da 3 ore prima del concerto.
Per la visita guidata alla Villa, prevista alle 19.30 è necessaria la prenotazione alla mail:

prenotazioniscarlatti@gmail.com
Concerto in collaborazione con

Con il sostegno di